The Following
Già nel lontano 1996, all'epoca
della prima pubblicazione di Ciak si trema, dedicai un
capitolo ai serial killer. Il cinema ne aveva infatti
raccontato le crudeli gesta fin dai primordi con film d'autore come
M il Mostro di Dusseldorf di Fritz Lang, l'exploitation
le aveva poi esaltate negli anni Sessanta e Settanta, e nei Novanta c'era
stata una vera e propria inflazione cinematografica della figura. Subito
dopo Il silenzio degli innocenti, capolavoro e film spartiacque del filone, iniziarono a nascere cloni che si
distaccavano sempre più dalla realtà, virando verso una
romanticizzazione del personaggio, che diventava un vero e proprio
superuomo, colto e bigger than life. Il libro di Thomas
Harris nasceva dall'incontro con un vero e proprio eroe dei
nostri tempi, il profiler dell'FBI John Douglas,
allievo di Robert Ressler, pioniere nel campo degli studi sui
serial killer. Ed è vero che tra gli omicidi seriali ce ne sono
stati di intelligentissimi (è il caso ad esempio di Ted Bundy
e Ed Kemper) ma la maggior parte degli psicopatici ha
un'intelligenza media se non decisamente inferiore. Se sembrano
e a volte risultano imprendibili, è perché conoscono le arti della
dissimulazione, si confondono nella folla, non si mettono in mostra,
tranne in casi di acuto narcisismo che li conduce quasi sempre alla
cattura.
Il cinema, invece, dopo Hannibal
Lecter, ha scelto di renderli invincibili e ha creato una vera e
propria mitologia – l'eterno scontro tra Bene e Male, che spesso si confondono - attorno al confronto tra l'uomo che cerca
di entrare nel cervello del predatore e mettersi nei panni delle
sue vittime, per carpirne i segreti e catturarlo, e colui che
dispensa morte e sofferenza per il proprio sadico piacere. Dopo un
po', gli agganci anche minimi alla realtà sono andati a farsi
benedire. E' così che sono nati Dexter e, ultimo della
progenie, il Joe Carroll di The Following.
Non so a voi, ma i veri serial killer a
me fanno paura, mentre quelli del cinema spesso mi fanno ridere. A meno
che, ovviamente, non si tratti dell'Henry di John
McNaughton col fantastico Michael Rooker, film liberamente
ispirato alle gesta della coppia pluriomicida formata da Henry Lee
Lucas e Ottis Toole (furono proprio le confessioni “esagerate” del primo negli anni
Ottanta a dare il via alla mania per i sk). Per interpretare
un sociopatico ci vuole un'aura di normalità dietro cui l'attore sia
in grado di far trapelare, con la forza della sua arte, la follia più
agghiacciante e assoluta. Se fu straordinario Anthony Hopkins
nella sua prima incarnazione di Hannibal, ed era
credibile e inquietante nella prima stagione Michael C. Hall nel ruolo di Dexter Morgan,
non troviamo né carismatico né affascinante il Joe Carroll di
James Purefoy, scelto probabilmente dalla produzione perché
unico attore inglese ancora disponibile, tra i suoi impegnatissimi
colleghi. Ma la colpa, poverino, non è neanche sua, così come non è
colpa di Kevin Bacon se sembra uno stoccafisso (verrebbe quasi
voglia di rispolverare la geniale definizione data da Stefano
Benni di Warner Bentivegna nel televisivo Una tragedia
americana: boccheggiante come una carpa, espressivo come un
cocomero al buio). Il fatto è che Kevin Williamson passa
ancora per genio dopo Dawson's Creek e i primi due Scream,
che avevano in effetti almeno una levità di tocco che poteva dare
respiro anche a materie oscure come queste. Ma quella di Williamson è una reputazione immeritata (l'avete visto il quarto Scream?!)
E' per questo che ha scelto di riprendere il filone serial-killer
messianico-letterario-organizzato-pianificatore-sadico-vendicativo
– che comprende anche Se7en - senza dimostrare un
briciolo di consapevolezza del genere e d'ironia.
Insomma, questa serie è troppo
seria, se ci passate il calembour, e troppo monocorde.
Passi l'idea della setta/famiglia (e anche il leader poco carismatico, segno di tempi in cui anche il Male ha un volto più banale), ma che ha fatto di male il povero Edgar
Allan Poe - pretesto del disegno poetico-criminale di Carroll - per vedere il suo volto ridotto a un'orrenda maschera di
gomma, indossata dai suoi scellerati discepoli? L'autore avrebbe dovuto tenere a mente la lezione del grande Vincent Price, che agli incubi di
Poe ha dato vita nello splendido ciclo di film realizzati da Roger Corman, e che ha scatenato la sua vendetta macabra e divertente in L'abominevole dottor Phibes e Oscar insanguinato, usando le 7 piaghe d'Egitto e le opere di William Shakespeare. Senza colpevolizzare né la Bibbia né il Grande Bardo.
The Following si limita a punire i veri amanti
del geniale scrittore e riesce nella quasi
impossibile impresa di offendere perfino i veri serial-killer.Come ho detto prima, a me quelli veri fanno molta paura, e
proprio perché li temo li rispetto. E se ci credo mi spavento. Ma, per quanto mi sia sforzata, al
serial-killer di The Following, al suo diabolico piano contro il proprio doppio/rivale, ai
suoi assistenti pisquani e all'uomo condannato a combatterlo, non riesco proprio a
credere. E se l'Uomo Nero non fa paura, che gusto c'è a guardarlo?